Sarà discusso ed approvato a breve il Piano Strategico Regionale. Nei giorni scorsi ho scritto tre post su facebook. Eccoli qui.
1. Piano Strategico Regionale, tradimenti a destra e manca.
In ritardo di oltre due anni rispetto ai tempi previsti dalla Statuto regionale.
Il centrodestra ha tradito la carta fondamentale della organizzazione democratica della Regione non rispettandone il comma 4 dell’art. 45. Questo ritardo non é un fatto burocratico poiché l’aggiornamento del Piano, almeno ogni tre anni (comma 8 art. 45) crea le condizione affinché, attraverso gli attori sociali e politici, la comunità regionale possa esercitare un controllo e una verifica sullo stato di attuazione degli impegni assunti anche in campagna elettorale. E dal punto di vista di chi governa é una opportunità per riflettere, aggiornare e tarare obiettivi e strumenti per perseguirli.
Approvare il Piano Strategico ora, oltre la metà della legislatura (a marzo sono già tre anni), non consentirà in profondità e nella sostanza (ne parlerò prossimamente) di rendere operativi tutti gli strumenti di partecipazione utili a rendere viva la democrazia regionale e qualificare, nell’interesse generale, l’azione di governo.
Si eviti di raccontare fesserie: non si è potuto approvare il Piano perché non vi erano ad inizio legislatura il Consiglio delle Autonomie Locali (art. 78) e la Conferenza Regionale per la Programmazione (art. 82) e quindi non sarebbe stato possibile rispettare il comma 3 dell’art. 45 che ne prevede la consultazione.
(Sempre per qualche astuto leone da tastiera ricordo che non era nei tempi e nella possibilità della precedente legislatura l’approvazione di norme e di regolamenti attuativi. Dopo anni di discussioni si riconosca che la precedente legislatura è stata quella costituente a circa 40 anni dal primo statuto che segnó la nascita della Regione Basilicata.)
Il Governo Bardi avrebbe potuto convocare ANCI UPI e rappresentanze sociali ed economiche ed in via “transitoria” procedere alla consultazione e alla conseguente approvazione del Piano Strategico.
La verità è un’altra: la destra è arrivata al governo della Regione – per errori politici del centrosinistra ed anche per circostanze particolari, quella giudiziaria non può essere silenziata – con poche idee ed anche confuse.
E quindi avendo poche idee ed anche confuse non ha potuto elaborare un Piano Strategico fino al punto di decidere di farsi accompagnare da supporti e sostegni “tecnici” (Giampiero Perri e Leonardo Cuoco) che nel corso di questi anni non sono stati “estranei” al centrosinistra lucano.
Così facendo la destra ha tradito anche i suoi elettori ma soprattutto ha calpestato lo Statuto regionale.
É questo il cambiamento promesso?
2. Piano Strategico Regionale, senza anima e cuore
C’è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile varata dall’ONU nel 2015. Mi verrebbe da proporre ai consiglieri regionali: prima di approvare il Piano Strategico riunite la massima Assise regionale con un solo punto all’odg: Agenda 2030. Magari un po’ di lavoro propedeutico nelle commissioni consiliari non sarebbe male per una Regione che non ha ancora una strategia per la sostenibilità.
Eppure la sostenibilità è tra i principi dello Statuto regionale (art. 10) e a proposito di Piano Strategico sempre la Carta regionale dice al comma 6 dell’art. 45 che “analizza le dinamiche degli interessi individuati, per renderli più coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile…”
Dato che tra le virtù non ho quella della modestia (così i miei detrattori sono sistemati!!!) potrei agevolmente dimostrare con é possibile indirizzare il Piano verso l’Agenda 2030. Fidatevi, ho partecipato alla elaborazione del rapporto ASviS 2021 su “territori ed obiettivi di sviluppo sostenibile”. Un onore ed un onere essere stato chiamato a far parte di questo gruppo di lavoro, ma anche qualche competenza ed esperienza acquisita sul campo.
Detto questo, e acclararata la inconsistenza di una visione strategica di una destra inadeguata a governare, penso ci sia un punto che riguardi il centrosinistra.
In questi giorni si parla, si scrive di fossile e di petrolio in Basilicata.
A mio giudizio sfuggono alcuni elementi di strategia e se volete di tattica.
Partiamo da alcuni punti fermi.
Gli accordi sul petrolio sottoscritti dal governo della destra sono pericolosamente involutivi – soprattutto per il contesto storico, sociale ed economico – ma, a meno di fatti eclatanti, sono contratti che valgono 10,20,30 anni.
L’altro punto fermo é che nonostante fossero accordi involutivi la comunità regionale li ha vissuti con scarsa interesse, poca attenzione e zero apprensione. Non ci si chieda il perché. É ancora rilevante la parte della comunità regionale che individua il centrosinistra come responsabile del fallimento della operazione petrolio. Nel secondo decennio del duemila, per diverse ragioni, si è consolidata questa opinione. Il PD e il Centrosinistra hanno avuto la grande opportunità di trascinarsi il quorum del referendum “trivelle” (dopo l’errore anche di gestione sull’art. 38 del decreto Sblocca Italia) per ridefinire la mappa valoriale e strategica del futuro della Regione preparando di fatto il terreno a nuovi e diversi accordi con Total ed ENI.
Il centrosistra e il Pd (ma non perso vadano riprese le posizioni di quella stagione politica) ha imboccato un’altra strada.
Sull’assenza di un nuovo paradigma la destra improvvisata al Governo ha “legato” il futuro della Basilicata al petrolio per molti anni ancora, senza che ciò sollevvasse dibattiti ed iniziative anche da parte della società lucana.
Se posso permettermi, senza polemica e con spirito costruttivo, ritengo non utile che i principali protagonisti di un’occasione perduta attacchino la destra lucana sul terreno del fossile e degli accordi. Non si recupera e non si cambia.
Penso, invece, che possa essere utile per il i lucani e per intercettarne la voglia di futuro mettersi sul binario dell’Agenda 2030, avere indicatori e misuratori che consentano di avere il cruscotto per chi guida (governanti) e la mappa per orientarsi (cittadini e interessi vari) sulla traiettoria dello sviluppo sostenibile. E con pazienza su strada si può rendere meno fragile la Regione nel rapporto con lo Stato centrale e le compagnie petrolifere, meno dipendente e vincolata la comunità regionale dal condizionamento delle risorse finanziarie e del lavoro.
Nel Piano Strategico manca una visione, una rotta e una nuova mappa valoriale. Manca un’anima e un cuore.
P.S. Dietro questo grafica ci sono dati ed analisi. E tutto si trova: basta alzare gli occhi verso le nostre montagne e capire perché l’unico GOAL in cui la Basilicata eccelle è il 7. Ma questo indica anche che la quantità non basta se non accompagnata da una visione e scelte che vadano nel segno del benessere equo e sostenibile (BES, altri indicatori ISTAT). Insomma si potrebbe fare tanto.
3. Piano Strategico Regionale, chi muove?
Nel primo e nel secondo punto ho evidenziato le debolezze formali, strategiche e politiche e la necessità di definire nuove mappe valoriali necessarie per dare centralità alla sostenibilità, nelle sue varie declinazioni, per lo sviluppo, per il benessere e per l’equità.
In questa terza riflessione voglio affrontare il tema del “chi muove” il Piano verso obiettivi che ribadisco devono essere chari e misurabili; i 17 SDGs e i 169 target dell’Agenda 2030 potrebbero rappresentare un binario fondamentale.
Chi muove?
Innanzitutto il Piano Strategico, esso stesso è un frutto, può poggiarsi sulle nuove regole di funzionamento della democrazia e della amministrazione regionale. Dopo anni di attesa e tentavi non riusciti finalmente c’è il nuovo Statuto regionale e non nascondo l’orgoglio di essere stato tra i protagonisti, anche con la prima firma che ha avviato l’iter legislativo e ricoprendo, in questo percorso durato circa due anni, la carica di presidente del Consiglio. Ricordo anche tra gli L’impegno e il ruolo svolto in particolare da Vito Santarsiero.
La completa e ordinata attuazione dello Statuto non può più attendere.
Aggiungo, inoltre, che, dopo tonnellate di inchiostro che hanno oscillato tra presunte illegittimità costituzionali e fantomatici contenziosi amministrativi per l’assegnazione dei seggi, possiamo dire alcune cose anche sulla nuova legge elettorale: più reale e potenziale rappresentanza di genere, più consiglieri nelle commissioni (cinghia di trasmissione vitale per il funzionamento della Regione), maggiore stabilità politica. Aggiungo un elemento che ho sempre sostenuto nel proporre la riforma elettorale: con il Consiglio regionale a 20 componenti, la scelta di assessori tra eletti, grazie alla incompatibilità temporanea e quindi allo scorrimento, allarga la rappresentanza reale e potenziale anche per i territori. E questo accade anche perché tutti i consiglieri sono eletti per effetto dell’abolizione del listino bloccato. Si vedrà cosa accadrà in futuro – tutto è migliorabile ed adattabile al tempo che si vive – ma oggi l’onestà intellettuale dovrebbe far riconoscere che la “doppietta” Statuto e legge elettorale ha dato regole che certamente migliorano il funziamento e la organizzazione della macchina regionale. La qualità della rappresentanza e le scelte di governo attengono ad altre sfere, sarebbe il caso di non sovrapporle superficialmente.
Chi muove é aspetto essenziale per realizzare un Piano Strategico: andrebbe ritarato l’assetto dei dipartimenti, bisognerebbe semplificare con testi unici e introdurre procedure che trovino nuovi ed avanzati equilibri tra innovazione tecnologica ed adeguate politiche per il personale e forse, infine, andrebbe pensata anche una diversa articolazione delle deleghe della Giunta regionale.
Ma la governance non può limitarsi a questo, deve andare ancora oltre. Suggerisco un indice.
1. La centralità del cittadino nella partecipazione a decisioni rilevanti, grazie al nuovo Statuto, può essere valorizzata attraverso le diverse tipologie di referendum, dal basso. Ma segnalo che la Regione su scelte strategiche può utilizzare l’istruttoria pubblica (art. 16).
2. In un sistema di governance efficiente e di qualità, in relazione stabile diretta con la Regione, è fondamentale la partecizione reale delle rappresenze istituzionali, sociali, economiche, professionali. Si facciano funzionare al meglio il Consiglio delle Autonomie Locali e la Conferenza di Programmazione previsti dallo Statuto.
3. Sarebbe opportuna per assestare definitivamente il ruolo delle province una revisione sistemica ed organica dell’ente di area vasta che alleggirisca il più possibile la Regione da funzioni amministrative e consolidi migliorandola, la organizzazione dei servizi di rete e di raccordo che non possono indirittamente e subdolamente scaricarsi sui comuni. A mia firma nella scorsa legislatura é stato depositato un disegno di legge. Si parta da quello.
4. Darei il via ad un legislazione che regoli, nel contesto normativo nazionale, la relazioni tra comuni, in termini sia di funzioni che di unioni. Oggi è possibile perché queste scelte possono essere compiute non con la logica dei tagli e delle razionalizzazioni ma con investimenti innanzittutto in risorse umane e finanziarie, in innovazione tecnologica e formazione. Le regole oggi sono più morbide.
5. I due punti precedenti devono essere accompagnati da maggior soldi da mettere nel FUAL (Fondo Unico per le Autonomie Locali). Oggi è ormai un dato acquisito e, visto che la modestia non è tra le mie virtù, sono contento di averlo proposto e fatto approvare nella precedente legislatura. Ovviamente per non eccedere in presuzione (troppa grazia per qualche detrattore che ovviamente non ha molti argomenti) tutto si può e si deve migliorare.
Le regole statutarie, la selezione della rappresentanza della Regione, l’architettura istituzionale e il funzionamento della macchina amministrativa, il “chi fa cosa e con quali risorse” sono scelte che riguardano un Piano Strategico, chi lo muove verso gli obiettivi che si vogliono raggiungere.
La solidità di questi pilastri consente infine una maggiore qualità della pianifazione e della programmazione con grandi benefici per cittadini ed imprese.
Avrei tanto altro da aggiungere e da scrivere ma penso di aver segnalato molti temi che porterebbero già via giorni e giorni di dibattito.