Le comunità dell’Appennino superano l’internità. Lacorazza: «I diritti garantiti nelle aree interne danno respiro anche alle città».

Gianni Lacorazza
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È un libro pieno di interrogativi quello edito da Rubettino che rientra tra le pubblicazioni della serie Civiltà Appennino, progetto editoriale di Fondazione Appennino Ets: ne abbiamo parlato con Piero Lacorazza, che lo ha curato con Gianni Lacorazza, mettendo insieme i contributi di autori e autrici in una riflessione comune sulla necessità di un cambio di prospettiva per guardare a questi territori

Pensavamo di conoscere ormai la risposta all’eterna domanda: cosa sono le aree interne? Più o meno da dieci anni sappiamo che si tratta di quei territori distanti dai centri di erogazione dei servizi. Ne abbiamo contezza essenzialmente perché li abitiamo, poi perché li raccontiamo, da tempo e mai con una sola voce.

Un dibattito lungo, complesso, a volte pieno di retoriche, altre di evoluzioni. Che si è alternato tra storie da conoscere, esperienze da incontrare, sfide e progetti infranti, che ha messo in campo tante parole: possibilità, futuro, marginalità, politiche pubbliche, PNRR, creatività, borghi si o borghi no, abitabilità, occupazione, ambiente, montagna, disuguaglianze, abitanti, fragilità, paesi, restare, ma anche tornare, partire. Così, per fare un riassunto fino all’osso: che poi è un’altra delle parole utilizzate.

Bene, ora stravolgiamo il punto di osservazione. Proviamo a superare l’internità , come suggerisce il volume Comunità Appennino – edito da Rubettino – curato da Piero e Gianni Lacorazza, che rientra tra le pubblicazioni della serie Civiltà Appennino, un progetto editoriale della Fondazione Appennino Ets che abbiamo conosciuto in occasione del Festival del Lavoro nelle Aree Interne a Soveria Mannelli, in Calabria.

Con questo libro, pieno di interrogativi, Fondazione Appennino offre un contributo per provare a rompere – appunto – con l’«internità», quella definizione di «interne» per aree, a «fallimento di mercato», su cui andava costruita una strategia di programmazione speciale, ma che è diventata uno stigma, una condizione quasi irrimediabile che rischia di oscillare tra uno zoo per la gran parte dell’anno e una discoteca che anima le ferie di Augusto. Se invece riflettessimo sull’idea di comunità che abita questi territori diventerebbe semplice comprendere che il confine geografico è sfumato per storia, produzioni, risorse naturali; le comunità sono in movimento, oggi ancor di più, dentro le transizioni ecologica e digitale, le proiezioni e i movimenti demografici.

Raffaele Nigro, Egidio Ivetic, Luigi Mascilli Migliorini, Giuseppe Lupo, Augusto Ciuffetti, Gianni Lacorazza, Annalisa Romeo, Carla Collicelli, Luciano De Bonis, Livio de Santoli, Dora Iacobelli, Paolo Scaramuccia, Luisa Corazza, Marco Bussone: sono le autrici e gli autori che ragionano insieme di internità , contribuendo ad una riflessione ampia, di qualità, nuova e giusta – se vogliamo – perché rovescia il nostro sguardo e ci pone al di fuori delle ovvietà, per cercare un altro asse di equilibrio.

Di miti da sfatare, luoghi lontani – eppure vivi – di visioni dai territori, di sconfitte e progetti da costruire, così come di spinte dal basso e compensazioni dall’alto, abbiamo discusso con Piero Lacorazza: potentino, da sempre impegnato in politica, è stato presidente della Provincia di Potenza e consigliere della Regione Basilicata. Giornalista, consulente di marketing politico ed elettorale, fondatore della Fondazione Appennino ETS, un’impresa sociale senza scopo di lucro, che ha sede nel Comune di Montemurro: nella sua missione sono previsti progetti di sviluppo locale nelle aree interne, con l’intento di valorizzare, promuovere, conservare luoghi e beni del paesaggio, della cultura, delle tradizioni e della qualità della vita, sostenendo politiche per la sicurezza del territorio. Direttore della testata giornalistica online Civiltà Appennino e curatore editoriale, ha consolidato esperienze anche sulle tematiche ambientali ed energetiche. Nel luglio 2019 con la casa editrice People scrive il libro Il miglior attacco è la difesa. Costituzione territorio petrolio. Si occupa di cooperazione transnazionale e interregionale, coordina il F.A.ME (Festival Appennino Mediterraneo) ideato e organizzato da Fondazione Appennino ETS, riconosciuto dal Ministero della Cultura.

Dunque con questa pubblicazione si prova a spostare la lente che inquadra le aree interne, non più perdenti ma capaci in qualche modo di affermarsi…

«Certamente l’ambizione è stata quella di trovare un punto di vista differente, lontano dai luoghi comuni e anche da quello stigma che si è determinato nel tempo, un cliché alla volta. Superare l’internità è un concetto quasi filosofico, uno spostamento, perché internità è il modo con cui dall’esterno si guarda ai territori e non parliamo di occhi che appartengono solo alle persone. Ad esempio è lo strumento attraverso il quale il mercato osserva queste aree, con i parametri della quantità che vedono per forza l’interno sconfitto, privo di peso e di considerazione».

È la stessa logica usata per le politiche pubbliche, secondo lei?

«Se guardiamo alla Costituzione, troviamo l’articolo 1 con il lavoro come fondamento della Repubblica e già ci sembra chiaro così che il lavoro non dovrebbe essere concentrato in quattro o cinque grandi città. Allo stesso modo l’articolo 3 ci pone davanti al tema della rimozione degli ostacoli per la crescita dei cittadini, con pari dignità sociale e anche qui non esistono distinzioni, tantomeno geografiche. In realtà però noi queste disuguaglianze le vediamo, le viviamo e le politiche pubbliche dovrebbero svolgere in questo senso una funzione di riequilibrio. Fino a quando sarà il concetto di internità a prevalere, avremo solo politiche di tipo compensativo, addirittura compassionevoli, se non proprio caritatevoli, assistenziali».

È un libro che inquadra la realtà, che pur non offrendo le classiche soluzioni buone per tutti, sostiene il futuro dei territori…

«Abbiamo pensato che fosse opportuno porre delle questioni, bilanciate, rispetto alla possibilità di approcciarsi in un modo diverso alle aree interne e abbiamo provato a farlo osservando l’Italia con il Mediterraneo alle spalle, aprendo la mente sulla dorsale appenninica, che è centrale. È in discussione il futuro del Paese e il futuro del Paese dipende dall’Appennino, cerniera della mediterraneità e non landa desolata. Senza più fermarsi ad osservare il Nord o il Sud, bisogna valutare l’interconnessione, l’insieme con la sua forza può avere un ruolo nella definizione di un nuovo ordine, di nuove priorità che non creino ulteriori divari. Questo volume è nato sul campo, dai pensieri e dalle riflessioni di chi conosce, studia, progetta nei luoghi cosiddetti marginali, perché crede che possano essere laboratori, luoghi di produzione, spazi di approfondimento e crediamo che queste pagine riescano a comunicare il potenziale delle persone sui territori, delle loro capacità e delle loro competenze».

Dunque se riuscissimo a riempire i vuoti e a contrastare la fragilità, avremmo un’Italia più equilibrata?

«Potremmo ottenere questo risultato solo concludendo che i diritti garantiti al Sud e nelle aree interne darebbero respiro anche alle città e alla Pianura Padana. Oggi abbiamo vuoti sempre più vuoti e pieni sempre più pieni, nel libro tutto questo viene tenuto in considerazione: geografia e demografia, turismo, welfare, lavoro, mobilità, giovani e anziani, è molto articolato, perché le questioni aperte sono tante. Ma tutti concordiamo sulla necessità di partire dalle esigenze reali dei luoghi, i paesi vanno pensati per chi ci vive, per se stessi, su questa base vanno costruite le risposte per renderli paesi accoglienti anche per chi ha intenzione di arrivarci e di stabilirsi».

Paesi che pensano anche in maniera autonoma…

«Assolutamente, almeno fuori dai parametri del mercato, con una cultura indipendente, un’autonomia anche di pensiero, capace di ribaltare la realtà, quella realtà che vede le aree interne come aree a fallimento di mercato e quindi zavorra. Chi produce innovazione, chi aumenta il Pil, occupa spazi, ipoteca risorse, ammassa giovani studenti in case troppo costose e in questo senso anche le città vivono delle difficoltà, sono ugualmente deboli, pur rispondendo agli interessi prevalenti. Perciò lo sguardo da offrire non può più essere solo quello degli altri su di noi, senza mettere in campo politiche più strutturali per l’Italia intera».

Immagine in copertina, Genius Loci Travel

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